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I Wish You Were Here…

 

Chi si prende cura dei beni comuni? La salgata di S. Andreapelago, un bene dell’Alto Frignano.

La via Vandelli, costruita tra il 1739 e 1752 per collegare il ducato di Modena con i territori di Massa Carrara, è stata recentemente riconosciuta dalla FAI (Fondo per l’Ambiente) come un luogo del cuore. Uno dei tratti più suggestivi e meglio conservati è lo spezzone che attraversa l’alto Sant’Andrea, frazione di Pievepelago, comune che con Fiumalbo chiude nella stretta valle dello Scoltenna l’alto Appennino modenese.

Via Vandelli, Alto S. Andrea

La Vandelli è un ardito quanto sfortunato lavoro di ingegneria stradale. La strada fu quasi subito abbandonata perché i lunghi tratti ad alta quota la rendevano difficilmente percorribile nei rigidi inverni appenninici. Data la sua origine blasonata, la strada ha sollecitato attenzione e riconoscimenti.  Ma non dobbiamo dimenticare che la Vandelli trae il suo valore dal paesaggio maestoso e ancora incredibilmente pristino che attraversa nell’Alto Frignano e nella Garfagnana.

Capanna celtica sulla via Vandelli in località Casa Guerri

Il paesaggio è l’insieme dell’ambiente naturale e degli insediamenti umani che hanno fatto la storia di queste montagne. Proteggere e valorizzare la Via Ducale significa proteggere e valorizzare la natura e gli insediamenti storici rurali dell’Alto Frignano che ne fanno un luogo del cuore. 

Le capanne celtiche sparse lungo il tratto della Vandelli sul monte di S. Andrea sono l’esempio forse più noto ed iconico. Ma il legame vitale della via ducale con il territorio emerge se si considera il complesso sistema viario di sentieri e mulattiere che, pur senza stemmi e blasoni, è ricco di piccoli gioielli del lavoro in pietra. Tanta parte della cultura contadina con le sue stalle, mulini, aie, forni è scomparsa. Ma i sentieri e mulattiere che collegavano, casolari e paesi, campi, fossi e scavalcavano montagne resistono affogati nella vegetazione, testimonianza di millenarie pratiche di lavoro, della vita religiosa—come ci ricordano le numerose maestà che ne punteggiano i percorsi—e soprattutto di un antico rapporto, intimo, paziente e amorevole con il mondo.

Mulattiera sopra Fontana Boria

Questa introduzione ci guida dalla Vandelli all’oggetto di questa lettera/saggio: l’imminente distruzione della vecchia salgada, il selciato a due bande parallele di larghi piastroni incastonati nell’acciottolato, che lega le due frazioni di Casoni e S. Andrea.

La Salgada

Penso che originariamente la salgada attraversasse tutta Sant’Andrea.  Oggi solo il tratto nella parte alta del paese è conservato e, tagliato in vari spezzoni dalla strada asfaltata, continua salendo in verticale costeggiando la villa Dori, la villa Caselli e Casa Lorenzoni fino ai Casoni, dove, con la maestà di un viale nobiliare, conduce nel cuore del paese.

La salgada sopra S. Andrea —Foto Battista Minghelli

Già martoriata da trent’anni a questa parte a causa degli incessanti lavori per l’acquedotto e i successivi ripetuti interventi per aggiustarne i guasti, ora la salgada dei Casoni, nell’indifferenza delle pubbliche istituzioni, è definitivamente condannata alla distruzione. I lavori iniziati questa primavera per installare una nuova rete fognaria collegata a un depuratore assesteranno il colpo di grazia.  La vecchia salgada sarà scalzata e in seguito sostituita con soluzioni meno costose come cemento, o magari, un domani, chi lo sa?, il pratico asfalto. C’è, è vero, l’impegno dato a voce dall’amministrazione comunale di installare sopra la gettata di cemento—in un non ben definito futuro—una pavimentazione a lastre di pietra come quella usata a Pievepelago in via Tamburù. La soluzione, sebbene dignitosa, poco o niente ha a che fare con l’estetica del paese.

La salgada ai Casoni anni 50’ —Foto anonima

La salgada ai Casoni nell’autunno 2023

Così il comune, la compagnia che gestisce i lavori pubblici, e purtroppo alcuni residenti, ognuno con le sue ineccepibili ragioni—velocizzare i lavori, economizzare, massimizzare i profitti e facilitare e velocizzare il precorrimento delle macchine—avvallano la distruzione di un bene comune, prezzo necessario per assicurare i comfort moderni.

Per chi è nato ai Casoni è difficile assistere all’inevitabile. Adagiato sul limitare dei castagneti e boschi di faggi ed abeti, il paese emana una bellezza intensa propria a tanti paesi abbarbicati sugli Appennini.  La bellezza non è incontaminata, ma ha resistito negli anni agli infelici rifacimenti delle case di pietra dagli anni Sessanta a oggi; agli sfoltimenti delle piante cresciute da tempo immemorabile in stretta simbiosi con le abitazioni; ai vari lavori di ammodernamento.

In cosa consiste questa bellezza?  Solo ora, a fronte della minaccia che impende sui Casoni, sono arrivata a capire lo spirito del luogo che fa la sua bellezza. Questa non dipende tanto dal grazioso raggrupparsi delle case attorno a un invisibile centro, quanto dal dipanarsi di strade e sentieri che annodano casa a casa, campanile a oratorio in un rapporto intimo, familiare, passando con grazia dal selciato, all’acciottolato, al sentiero che eventualmente guida nei boschi. Il paese è la sua strada. Case e vie e sentieri fanno un tutt’uno creando un’armonia che è bellezza, espressione di un antico modo di abitare.  E’ questo senso di unità, di comunità che rende memorabile il paese.

Ma ora siamo alle strette, il tempo rimasto è poco, i lavori sono già in corso e anche se lenti, procedono apparentemente inarrestabili.

Dopo aver parlato, discusso, contattato l’amministrazione comunale e la compagnia responsabile per i lavori senza ottenere una seria rivalutazione del progetto; dopo aver contattato fantomatici uffici della Sovrintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Modena e aspettato invano un riscontro, non resta che rassegnarsi a vedere un altro pezzo di storia e cultura ancora parte integrante di una quotidianità, e forma stessa di un modo di vivere in comune, deteriorare e scomparire.

Prima di gettare la spugna rimangono ancora un paio di cose da fare. Intanto scrivere questa lettera per far sapere alla più larga comunità del Frignano cosa succede ai luoghi del cuore, e poi per tentare ancora una volta di richiamare l’attenzione, l’interessamento e intervento delle istituzioni o di gruppi che lavorano per la difesa e valutazione del territorio dell’Alto Frignano.

Sappiamo tutti benissimo, in quanto cittadini di una nazione che vanta infinite bellezze e patrimoni storici, che esiste una legislazione molto rigida volta a controllare forma, estensione e natura di ogni cambiamento apportato da un privato a un edificio o complesso storico. Come è possibile che i comuni perseguano con severità ogni minima infrazione, come l’ampliamento nell’ordine di centimetri di una finestra, e considerino la distruzione e sostituzione di un antico selciato—certamente non costruito né da un Vandelli o un Giardini, ma nondimeno semplice ed elegante opera che esprime la sapienza e arte dei locali contadini e scalpellini—accettabile, il fatto trascurabile, l’oggetto spendibile?

La salgada sopra S. Andrea—Foto Battista Minghelli

La salgada che unisce S. Andrea ai Casoni fa parte di un antico e capillare sistema viario espressione di un diverso modo di rapportarsi al mondo. Queste mulattiere e sentieri sono stati tracciati non solo e non tanto per attraversare, ma per dialogare e vivere nel mondo. Non è la nostalgia per un passato edenico che muove queste parole. Sappiamo tutti come queste strade siano lastricate con la fatica, gli stenti e il sudore di generazioni di contadini e pastori. Mi sembra piuttosto che in queste vecchie strade sia contenuto un monito e una lezione per il futuro: la necessità di vivere coscienti e a contatto con la realtà che ci circonda e smettere di trattare il mondo nelle sue manifestazioni naturali e apparentemente obsolete come un ostacolo che va obliterato, superato, velocemente attraversato.

La salgada sotto ai Casoni, Casa Lorenzoni

Assilli di ambientalisti, utopisti e filosofi, si dirà.   Ma le vicende della salgada dei Casoni alla fine dei conti non toccano unicamente questioni di estetica e di storia. In un momento in cui, dopo la recente alluvione in Romagna, la gestione idro-geologica del territorio si impone come un’assoluta priorità, mi sembra che tra le due opzioni di un acciottolato impiantato su una base di ghiaino e sabbia e una gettata di cemento, la scelta per un selciato si imponga chiara anche a chi non ha una laurea in ingegneria o geologia.

 Sotto la spinta delle “ineludibili” leggi del mercato abbiamo dimenticato la nozione stessa di beni comuni. L’esperienza dei Casoni e della sua strada ci invita a riflettere su cosa costituisce un bene comune e ci ricorda che l’atto di prendersi cura è al cuore di ogni comunità non importa se piccola come un paese o grande come una nazione.

Foto e testo, Giuliana Minghelli Saggio/lettera pubblicata online 2023